Patrizia Speroni
Leggimi

L’incomprensibile moralismo di Facebook: un bel sedere, guardare è peccato!


Un bel sedere attrae sempre gli occhi altrui su di sé. Innegabile la potenza dello sguardo, quella straordinaria capacità di cogliere l’insieme nella sua interezza, così come nei suoi più piccoli dettagli.
Lo sguardo si nutre di forme, di colori, di movimento e di staticità, perché tutto ciò che ci circonda, attraverso il senso della vista, comunica.

Lo sguardo è una sorta di setaccio di immagini, che invia impressioni al cervello e all’anima. L’oggetto della percezione è per tutti uguale, ma ciò che comunica differisce da individuo ad individuo, perché deve fare i conti con un diverso grado di sensibilità e di vissuto.

Da qui anche la differente intensità di risposta nei confronti del bello e del brutto, i cui canoni di oggettività si perdono nella soggettività dell’umana percezione, che per tutti ci auguriamo saggia, ma che purtroppo sempre non è.

Prendiamo un bel sedere, di uomo o di donna che sia. Perché tutti lo guardiamo? Perché piace! Quanti fondoschiena ammettiamo di guardare? Pochi. Quanti sederi di fatto guardiamo? Moltissimi.

Apprezziamo il sedere di modelle che indossano biancheria intima, lodiamo la tonicità muscolare dei glutei degli atleti, invidiamo la perfetta conformazione di sederini esibiti in televisione, su riviste patinate o in spiaggia. Insomma, quando un sedere è bello, l’apprezzamento è inevitabile.

Come si spiega, dunque, il rifiuto di Facebook di pubblicare la copertina del nuovo album della band newyorkese Scissor Sisters, che ritrae il fondoschiena del celebre ballerino classico Peter Reed, scomparso nel 1986?

Facebook si è giustificato adducendo la seguente motivazione: “immagine inappropriata, eccessivamente esplicita” (Fonte: Comunicato Stampa Universal).

Premettiamo che si tratta di uno scatto del celebre fotografo Robert Mapplethorpe, che ha immortalato noti personaggi del mondo dello spettacolo.

Osservando con attenzione la fotografia – oggetto di moderna censura – non possiamo non riconoscere che si tratti di un fondoschiena di tutto rispetto. Natiche sode, poggiate su gambe visibilmente allenate, pantaloncino aderente che copre, ma non nasconde, le forme. Mani del legittimo possessore sui fianchi, la posa classica di un probabile momento di pausa dalle fatiche della danza.

In tutta sincerità, la fotografia incriminata non ci pare comunicare nulla di inappropriato, di indecoroso e tantomeno di esplicito. Non ci sembra un’istigazione alla molestia sessuale, un incitamento a creare gruppi di “natica-oscurantisti” o a reclutare mercenari pronti ad organizzare un colpo di stato per difendere i mutandoni della nonna.

Se i controllori del social network sono così attenti e vigili, farebbero buona cosa ad orientare il loro controllo e ad operare una doverosa censura nei confronti di chi usa il mezzo per irretire, per creare gruppi che gioiscono per una vita che si spegne o che istigano alla violenza nei confronti di personaggi che ritengono impopolari.

Se la scatola cranica è cassa di risonanza del vuoto mentale di alcuni, ci auguriamo che possa ospitare tanti cervelli funzionanti, dotati di capacità critica, in grado di non vedere il marcio nel bello.

Sotto quel pantaloncino attillato non ci sarà un perizoma, ma c’è la tensione muscolare, la fisicità che un ballerino mette nella danza accompagnata dalla musica, elemento imprescindibile che gli permette di esprimere al meglio la propria arte.

L’arte comunica arte!

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patrizia.speroni@aruba.it

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